Come regolamentare i rapporti giuridi tra conviventi non uniti in matrimonio: Il contratto di convivenza.
FONTE: (Altalex,
26 maggio 2016. Articolo di Giuseppe Ottavio Mannella e Gianluca C. Platania
tratto da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)
Dopo un lungo dibattito, politico e mediatico, il 20
maggio 2016 è stata approvata dalla Camera la legge n. 76, rubricata “Regolamentazione delle
unioni civili tra persone delle stesso sesso e disciplina delle convivenze”,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 2016 e che entrerà in vigore
dal 5 giugno 2016.
L’aula ha approvato la proposta di legge n. 3634 nel
testo già licenziato dal Senato il giorno 25 febbraio 2016, quale risultante
dalle integrazioni apportate dal Governo (con il maxi-emendamento presentato in
data 24 febbraio a firma del Ministro Elena Boschi) al disegno di legge noto
come “ddl Cirinnà”, dal
nome della prima firmataria, la senatrice Monica Cirinnà.
Il presente contributo si ripropone di analizzare il contenuto della legge n. 76/2016, focalizzandosi in particolar modo
sulla questione del contratto di convivenza.
I Rapporti
patrimoniali tra conviventi: il contratto di convivenza
Dopo un lungo dibattito, politico e mediatico, il 20
maggio 2016 è stata approvata dalla Camera la legge n. 76, rubricata “Regolamentazione delle
unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 2016 e che entrerà in
vigore dal 5 giugno 2016.
L’aula ha approvato la proposta di legge n. 3634 nel
testo già licenziato dal Senato il giorno 25 febbraio 2016, quale risultante
dalle integrazioni apportate dal Governo (con il maxi-emendamento
presentato in data 24 febbraio a firma del Ministro Elena Boschi) al disegno di
legge noto come “ddl Cirinnà”,
dal nome della prima firmataria, la senatrice Monica Cirinnà.
Il presente contributo si ripropone di analizzare il
contenuto della legge n.76/2016, focalizzandosi in particolar modo sulla
questione del contratto di convivenza.
Il provvedimento in esame ha una rilevante portata,
non solo giuridica ma anche politica e sociale, poiché introduce per la
prima volta in Italia, e di conseguenza disciplina, due nuovi istituti, ed in
particolare:
- l'unione
civile tra persone dello stesso sesso quale "specifica formazione sociale";
- la
convivenza di fatto, sia tra un uomo ed una donna che tra due
persone dello stesso sesso.
La legge va pertanto divisa in due parti in
quanto vanno ben distinte le unioni civili che restano riservate alle
sole coppie omosessuali, e le convivenze di fatto che invece si rivolgono
alle tutte le coppie di fatto, non solo omosessuali ma anche eterosessuali,
che hanno deciso di non contrarre un matrimonio (o, se dello stesso sesso,
un'unione civile).
Le unioni civili rappresentano una novità
assoluta nel panorama italiano, mentre il tema della convivenza di fatto
e della necessità di regolamentare tali rapporti è oggetto di studio da qualche
anno (si pensi agli accordi di convivenza, e la relativa proposta di legge,
elaborati dal notariato alla fine del 2013) ed ha già avuto alcuni ed
isolati riconoscimenti giuridici e politici (si pensi da ultimo alle
previsioni in tema di prestito vitalizio ipotecario, per chi è convivente da
almeno cinque anni, oppure ai registri delle coppie di fatto presenti in alcune
città italiane).
Esaminiamo adesso i punti salienti della legge n. 76/2016, distinguendo i due istituti e
focalizzandoci in particolare sul contratto di convivenza. Partiamo, quindi,
con l’analizzare l’istituto della convivenza di fatto.
La convivenza di fatto
Comunemente con il termine convivenza (o famiglia di
fatto) si indica l’unione di due persone, anche dello stesso sesso, non fondata
sul matrimonio. La Corte Costituzionale ha riconosciuto la convivenza quale
formazione sociale tutelata a livello costituzionale; va tuttavia precisato
come secondo la giurisprudenza (ex multis, Cass. 21 marzo 2013, n. 7214) la convivenza giuridicamente
rilevante è solo quella caratterizzata da una tendenziale stabilità, una
comunanza di vita e interessi e una reciproca assistenza morale e materiale.
Il legislatore sinora si è occupato della convivenza
solo in maniera sporadica (si pensi all’art. 30 L. 354/1975, che consente la
visita in carcere convivente in pericolo di vita, all’art. 337-sexies
c.c., in base al quale il godimento casa familiare viene meno se l’affidatario
del figlio conviva more uxorio, o ancora all’art. 408 c.c. che ricomprende la
persona stabilmente convivente tra i soggetti che il giudice deve preferire
nella nomina dell’amministratore di sostegno). Manca(va), cioè, una visione
organica del fenomeno.
La legge in esame colma tale lacuna, e per la prima
volta ricollega alla semplice convivenza di fatto (che presenti taluni
connotati “minimi”) una serie di diritti a vantaggio di ciascun convivente, sia
nei confronti dei terzi che nei confronti dell’altro convivente.
Cos’è: ai sensi della legge n. 76/2016 la convivenza è giuridicamente
rilevante laddove essa
si instauri
- tra due
persone maggiorenni (dello stesso sesso o di sesso diverso);
- unite
stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale
e materiale;
- coabitanti
ed
aventi dimora abituale nello stesso comune (ai sensi dell’art. 4 d.p.r. 223/1989);
- tra
loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da
matrimonio o da un’unione civile.
In quanto situazione di fatto, la convivenza non
richiede una sua formalizzazione (a differenza, quindi, delle unioni
civili), ma è evidente che la sua rilevanza giuridica impone
necessariamente un suo accertamento: a tal fine la normativa in esame
richiama il concetto di famiglia anagrafica di cui all’art. 4 del d.p.r. 223/1989, e richiede pertanto che vi sia una
coabitazione risultante da un certificato di stato di famiglia.
Rapporti personali: la convivenza non genera, così come sinora accaduto,
alcun fascio di diritti e doveri reciproci tra i conviventi di fatto per ciò
che concerne i loro rapporti personali.
I diritti inerenti la tutela della persona: la legge estende al convivente
taluni diritti e poteri sinora prerogativa dei soli coniugi, ed in particolare
riconosce a ciascun convivente
- gli
stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento
penitenziario (estendendo la limitata tutela già riconosciuta dalla
legge 26 luglio 1975, n. 354);
- il
diritto di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni
personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture
ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate,
previste per i coniugi e i familiari in caso di malattia o di ricovero;
- il
potere di conferire, in forma scritta e autografa (oppure, in caso di
impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone) un mandato con
il quale designare l’altro convivente quale rappresentante con poteri
pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di
intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute (c.d.
testamento di vita);
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione
di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie
(c.d. mandato post mortem exequendum);
- la
possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di
sostegno (nonché di essere indicato ex art. 712 c.p.c.
nella domanda per l’interdizione, inabilitazione o per la nomina
dell’amministratore di sostegno).
I diritti sulla casa di abitazione: tipizzando a livello normativo
taluni orientamenti giurisprudenziali che già riconoscevano al convivente
superstite la qualifica di detentore qualificato (Trib.
Milano 8 gennaio 2003) e che estendevano al convivente il diritto di subentrare
nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore (ma non anche di
semplice cessazione della convivenza), la nuova normativa prevede – fatto salvo
quanto previsto dall’articolo 337-sexies c.c. per l’assegnazione della
casa familiare (applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi) -
che
a) in caso di morte del convivente proprietario
della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha
diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano
tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del
convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e
comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso
in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di
comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una
nuova convivenza di fatto.
Non viene invece prevista alcuna tutela per l’ipotesi
di “rottura” del rapporto di convivenza, cui può comunque ovviarsi attraverso
apposite previsioni contrattuali, già elaborate dalla prassi (come ad esempio
l’attribuzione al convivente non titolare dell’immobile di una quota di
comproprietà ovvero un diritto reale di godimento).
b) in caso di morte del conduttore o di suo recesso
dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha
facoltà di succedergli nel contratto.
Il diritto di preferenza nell’assegnazione di alloggi
di edilizia popolare: secondo la
citata legge n. 76/2016 nel caso in cui l’appartenenza ad
un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie
per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di
preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
Il diritto a partecipare ad un’impresa familiare: il provvedimento, superando le
chiusure della giurisprudenza, estende al convivente di fatto la disciplina
propria dell’impresa familiare, e propone l’inserimento nel codice civile un
nuovo articolo 230-ter in base al quale riconoscere al convivente di
fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa
dell’altro convivente (e tale collaborazione non derivi da un rapporto di
lavoro subordinato o di società) una partecipazione agli utili dell’impresa
familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda,
anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.
Il diritto al risarcimento del danno in caso di morte
derivante da fatto illecito: recependo orientamenti giurisprudenziali oramai
consolidati la legge in esame equipara la convivenza di fatto al rapporto
coniugale ai fini del risarcimento del danno in caso di decesso del compagno.
Il diritto agli alimenti in caso di cessazione della
convivenza: in caso di
cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere al convivente
il diritto di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, per un periodo
proporzionale alla durata della convivenza medesima, in presenza degli stessi
presupposti e nelle misure già previste dall’art.438 c.c., e precisamente
laddove egli
a) versi in stato di bisogno, e
b) non sia in grado di provvedere al proprio
mantenimento.
Ai fini della determinazione dell’ordine degli
obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, l’obbligo alimentare
del convivente è anteposto a quello che grava sui fratelli e sorelle della
persona in stato di bisogno.
I diritti successori: la convivenza rimane ancora
irrilevante dal punto di vista successorio (a differenza di quanto previsto in
tema di unioni civili). Pertanto nessun diritto spetta ex lege al convivente in caso di morte del compagno, né la
legge in esame ha pensato di agevolare, sotto il profilo fiscale, eventuali
donazioni o lasciti testamentari tra i conviventi (che, essendo tra loro
estranei, sconterebbero la massima aliquota).
I rapporti patrimoniali tra conviventi: il contratto
di convivenza
La nuova normativa consente inoltre ai conviventi di
disciplinare in via programmatica i loro rapporti patrimoniali mediante la sottoscrizione
di un apposito contratto che – in linea con le elaborazioni sinora compiute
dal notariato in materia – è definito contratto di convivenza.
La forma e i requisiti di validità: il contratto è redatto in forma
scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con
sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la
conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Per garantirne l’opponibilità a terzi il
professionista che autentica o riceve l’atto deve provvedere, entro dieci
giorni, a trasmettere copia del contratto al comune di residenza dei conviventi
per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi del regolamento di cui al d.p.r. 223/1989.
Il contratto di convivenza è affetto da nullità
insanabile se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di
un’unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del
comma 36 (cioè tra non conviventi ai sensi della legge in esame); c) da persona
minore di età; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna
per il delitto di cui all’articolo 88 c.c. (in base al quale non possono
contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l'una è stata condannata per
omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra). I suoi effetti rimangono
invece sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel
caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il descritto
delitto di cui all’articolo 88 c.c., sino alla pronuncia di proscioglimento.
Il contenuto: il contratto può contenere:
a) l’indicazione della residenza comune;
b) le modalità di contribuzione alle necessità
della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla
capacità di lavoro professionale o casalingo;
c) la scelta del regime patrimoniale della
comunione dei beni (che dunque in questo caso non richiederebbe
necessariamente la forma di cui all’art. 163 c.c.).
Il contratto non tollera l’apposizione di termini o
condizioni (che, ove previsti, si hanno per non apposti) e può essere modificato
– anche relativamente al regime patrimoniale prescelto - in qualunque momento
con le medesime forme richieste per la sua sottoscrizione.
La norma non chiarisce se sia possibile ampliare il
contenuto del contratto elencato al comma 53 con previsioni, per così dire,
“atipiche” (come ad esempio quelle relative alla suddivisione delle spese per
il mantenimento dei figli) ovvero se simili pattuizioni, certamente legittime,
rimangano accordi liberamente sottoscrivibili dai conviventi, al di fuori,
cioè, delle regole dei contratti in esame.
Ne rimangano invece certamente escluse pattuizioni
volte a disciplinare i loro rapporti personali (per cui non si potrà, ad
esempio, prevedere nel contratto di convivenza un obbligo di coabitazione
ovvero un obbligo di fedeltà) e la loro successione (alla luce del divieto dei
patti successori).
La risoluzione del contratto: il contratto di convivenza si
risolve per
a) accordo delle parti (nelle forme prescritte
per la sua sottoscrizione);
b) recesso unilaterale da esercitarsi con
dichiarazione ricevuta da notaio o autenticata da notaio o avvocato; in questo
caso il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto a notificarne
copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Si prevede
infine che, nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva
del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere
il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare
l’abitazione;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o
tra un convivente ed altra persona (il contraente che ha contratto
matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al
professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza,
l’estratto di matrimonio o di unione civile);
d) morte di uno dei contraenti (il contraente
superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al
professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza
l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del
contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo
all’anagrafe del comune di residenza).
Laddove i conviventi avessero adottato il regime
patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo
scioglimento della comunione medesima e l’applicazione, nei limiti della
compatibilità, delle previsioni del codice civile per lo scioglimento della
comunione legale tra coniugi.
Il diritto interazionale privato: al fine di disciplinare il
conflitto di norme applicabili ad una convivenza tra soggetti aventi
nazionalità diversa, la legge in esame prevede (mediante l’inserimento di un
art. 30-bis nella legge 218/1995) che in simili ipotesi si debba applicare -
salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di
cittadinanza plurima - la legge del luogo in cui la convivenza è
prevalentemente localizzata.
UNIONE CIVILE
Per completezza, esaminiamo ora l’istituto dell’unione
civile.
Cos'è e come si costituisce: è una specifica formazione
sociale da inserire nel diritto di famiglia insieme al matrimonio,
distinguendosi ovviamente dallo stesso ma allo stesso equiparata per molti
dei diritti e doveri previsti.
Possono costituirle solo persone maggiorenni dello
stesso sesso con dichiarazione resa di fronte ad un ufficiale di stato
civile ed alla presenza di due testimoni e certificata dal relativo
documento attestante l'intervenuta unione civile; il certificato di
costituzione dell'unione civile (contenente i dati anagrafici e di residenza
delle parti nonché il regime patrimoniale dalle stesse scelto) andrà poi, a
cura dell'ufficiale di stato civile, registrato presso l'archivio comunale
dello stato civile. Se una delle parti è straniera si applica l'art. 116,
co. 1°, c.c. (in base al quale lo straniero che vuole contrarre matrimonio
nella Repubblica deve presentare all'ufficiale dello stato civile una
dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti
che giuste le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio).
Le parti non possono derogare ad i diritti ed ai
doveri che derivano dalla loro unione civile. La forte tendenza del
provvedimento in esame ad equiparare giuridicamente tale nuovo istituto al
matrimonio è espressa non solo dal richiamo a numerose norme del codice
civile (specie in tema di rapporti patrimoniali e successori) ma in particolare
dal comma 20, che, al fine di rendere effettivi tali diritti ed adempiuti tali
doveri, stabilisce come «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e
le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini
equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di
legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi,
si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone
dello stesso sesso». Ne deriva che a tutte le norme infra richiamate alla
parola "coniuge" andrà sostituita quella di "parte dell'unione
civile". Eloquente a tal fine il comma 27 secondo il quale nell'ipotesi in
cui il cambiamento di sesso di uno dei coniugi non abbia portato gli
stessi a sciogliere il matrimonio ne deriverà tra loro «l'automatica
instaurazione dell'unione civile» in quanto ormai persone con lo stesso
sesso.
Resta fermo che non potranno applicarsi
all'unione civile le norme del codice civile non richiamate
espressamente e neanche quelle in tema di adozioni; al riguardo è bene
ricordare come il maxi-emendamento governativo sopra citato abbia escluso
dal testo divenuto legge il contestato meccanismo della stepchild
adoption, letteralmente "adozione del
figliastro", contenuto nella versione originaria del ddl,
ossia la possibilità per le persone che hanno contratto l'unione civile di
adottare il figlio del proprio partner.
Rapporti personali: con la costituzione dell'unione civile le parti, come
i coniugi nel matrimonio, acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri, in particolare:
- sono
reciprocamente obbligate all’assistenza morale e materiale ed alla
coabitazione (diritto sospeso in caso di allontanamento dalla comune
residenza ex art. art. 146 c.c.); il maxi-emendamento ha invece stralciato
dal testo passato all’esame della Camera l'originaria previsione
dell'obbligo di fedeltà;
- sono
entrambe tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla
propria capacità lavorativa (anche casalinga), a contribuire ai bisogni
comuni;
- concordano
insieme l’indirizzo della vita familiare ed a ciascuna di esse spetta il potere di
attuarlo;
- fissano
la residenza comune.
Altra importante previsione in tema di rapporti
personali è quella inerente il cognome: in sede di dichiarazione all’ufficiale
di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata
dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi
(in tal caso la parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio
cognome).
Rapporti patrimoniali: nel silenzio delle parti si
applica il regime della comunione legale (come avviene per il matrimonio),
fermo restando la possibilità per le stesse di optare per il regime della
separazione dei beni non solo al momento della dichiarazione dinanzi
all'ufficiale di stato civile, ma anche successivamente per mezzo di una convenzione
patrimoniale alla quale si applicano tutte le regole (di sostanza e di
forma) previsti dagli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile in tema di
convenzioni matrimoniali.
Rilevante è il richiamo all'applicazioni delle
norme di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del
libro primo del codice civile, ossia l'intero pacchetto normativo dei
rapporti patrimoniali tra coniugi: in forza di tale richiamo le parti di
un'unione civile potranno, al pari dei coniugi, non solo optare tra la
comunione e la separazione dei beni, ma anche costituire un fondo
patrimoniale o un'impresa familiare (richiamate anche le collegate norme
degli artt. 2647, 2653, co. 1°, n. 4, e 2659 c.c.). Si applica anche la
normativa in tema di alimenti prevista in favore del coniuge dagli artt.
433 e ss. c.c.
Rapporti successori: alle parti dell'unione civile si applicano le norme
in tema di indegnità (artt. 463-466 c.c.), di diritti riservati ai legittimari
(artt. 536-564 c.c.), di successioni legittime (artt. 565-586 c.c.), di collazione
(artt. 737-751 c.c.) e di patto di famiglia (artt. 768-bis- 768-octies).
Ogni riferimento al coniuge contenuto nelle norme sopra richiamate dovrà
conseguentemente essere inteso come riferito anche alla parte dell’unione
civile. Inoltre la parte dell'unione civile superstite ha diritto alla
morte dell'altro all'indennità di preavviso ed a quella di fine
rapporto ai sensi degli artt. 2118 e 2120 c.c.
Tutela della persona: nella scelta
dell'amministrazione di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove
possibile, l'altra parte dell'unione civile, così come la stessa è legittimata
a promuovere un procedimento di interdizione o inabilitazione e chiederne la
revoca.
Cause di invalidità e di scioglimento.
Le cause di invalidità dell'unione sono le stesse
del matrimonio (richiamati gli artt. 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129
e 129-bis c.c.). Inoltre anche per l'unione civile sono cause di impugnazione
la violenza e l'errore. Tra le cause impeditive per la costituzione di
un'unione civile vi è la sussistenza per una delle parti di un matrimonio
o di un'unione civile con altra persona dello stesso sesso.
Le cause di scioglimento sono: a) la morte;
b) i casi previsti dalla legge sul divorzio; c) la volontà,
anche di una sola delle parti, manifestata dinanzi l'ufficiale dello
stato civile che annota tale domanda nel registro delle unioni trascorsi tre
mesi dalla data di manifestazione; d) la sentenza di rettificazione di
attribuzione di sesso (in questo caso infatti le parti non sarebbero più
dello stesso sesso). Si applicano in quanto compatibili le norme procedurali in
tema di divorzio e di negoziazione assistita degli avvocati.